Gianni Berengo Gardin – L’Italia in bianco e nero, un testimone civile
Il 6 agosto 2025 l’Italia ha perso uno dei suoi occhi più lucidi. Gianni Berengo Gardin se n’è andato a 94 anni, nella sua Genova, lasciando un vuoto che non è solo artistico, ma anche umano. Con lui se ne va una parte di quel racconto in bianco e nero che, per oltre sessant’anni, ha restituito al Paese la sua immagine più vera: onesta, poetica, a volte scomoda.
Nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930, cresce a Venezia, tra calli e riflessi d’acqua che gli resteranno dentro. La fotografia arriva quasi per caso, poi diventa necessità. Nei primi anni Cinquanta entra nel circolo La Gondola e inizia a pubblicare per Il Mondo di Mario Pannunzio. In quelle pagine affina uno stile sobrio, mai gridato, vicino alla fotografia umanista francese.
Milano, città di adozione
Negli anni Sessanta si sposta e infine si stabilisce a Milano (1975). Qui diventa fotografo professionista a tempo pieno. Per quasi vent’anni lavora con il Touring Club Italiano, firmando volumi che raccontano le regioni e le città italiane. Poi arrivano De Agostini, Olivetti, Fiat, Alfa Romeo e altre grandi aziende.
La sua Milano non è quella patinata, ma quella delle strade, delle fabbriche, dei volti colti all’angolo di un tram. Nel 2012 riceve l’Ambrogino d’Oro, e l’anno dopo Palazzo Reale gli dedica una retrospettiva arricchita da quaranta immagini “milanesi”: cortili, mercati, momenti quotidiani, piccole storie urbane.
L’artigiano della fotografia
Berengo Gardin si definiva artigiano, non artista. Per lui la fotografia era un lavoro fatto di mani, occhio e rispetto.
«Ritoccare le foto è inammissibile» diceva, arrivando a timbrare le sue stampe con la dicitura: Vera fotografia, non modificata né inventata con il Photoshop. La scelta del bianco e nero non era estetica ma etica: niente distrazioni, solo la forza della scena.
Scatti che restano
Fra le sue immagini più celebri c’è il “Vaporetto, Venezia, 1960”: un mosaico di volti e riflessi catturati attraverso i finestrini, scelto da Henri Cartier-Bresson tra le 100 fotografie più importanti di sempre.
Ma il suo nome è anche legato a un libro che fece rumore: Morire di classe (Einaudi, 1969), realizzato con Carla Cerati e i testi di Franco e Franca Ongaro Basaglia, sulle condizioni dei manicomi italiani. Un lavoro che contribuì al dibattito che avrebbe portato alla Legge Basaglia.
Negli anni Novanta tornò a raccontare gli ultimi, con La disperata allegria e Zingari a Palermo, progetti sulle comunità Rom che gli valsero nel 1995 il Leica Oskar Barnack Award. Nel 2017 entrò nella Leica Hall of Fame.
Impegno e paesaggio
La sua fotografia è sempre stata anche atto civile. Memorabile la campagna “Venezia e le Grandi Navi”, che denunciava l’impatto delle navi da crociera sulla laguna. Le immagini, esposte dal FAI a Villa Necchi e poi al Negozio Olivetti, divennero simbolo di una battaglia culturale e ambientale.
Un archivio per l’Italia
Oltre 250 libri, centinaia di mostre in tutto il mondo, più di due milioni di negativi. Oggi il suo lavoro è custodito e promosso a Milano dalla Fondazione FORMA per la Fotografia. Un patrimonio che non è solo artistico, ma anche storico: la memoria visiva di un Paese in trasformazione.
📌 Box – 4 scatti iconici
Vaporetto, Venezia, 1960 – Un piccolo teatro umano dietro i vetri, equilibrio perfetto tra composizione e spontaneità.
Morire di classe – Interno di un manicomio, luce cruda e dignità ferita.
Roma, 1970 – Bambini che giocano in strada, sguardi verso l’obiettivo senza timore.
Venezia e le Grandi Navi – Sagome colossali di navi che incombono sulle calli.
📅 Timeline essenziale
1930 – Nasce a Santa Margherita Ligure
1954 – Entra nel circolo fotografico “La Gondola”
1964 – Diventa fotografo professionista
1966–83 – Collabora con il Touring Club Italiano
1969 – Pubblica Morire di classe
1975 – Si trasferisce stabilmente a Milano
1995 – Premio Leica Oskar Barnack
2008 – Lucie Award alla carriera
2012 – Ambrogino d’Oro
2017 – Leica Hall of Fame
2025 – Scompare a Genova, il 6 agosto
Gianni Berengo Gardin non ha mai inseguito il “momento perfetto” da copertina. Ha preferito osservare, capire e restituire. Il suo bianco e nero continuerà a parlarci perché è pieno di vita vera, quella che non invecchia.
“Quando si fotografa col cellulare lo si fa male e troppo facilmente, con la macchina invece ci vuole impegno. Ai ragazzi ai quali insegno dico sempre di pensare prima di scattare, mentre col telefono si fanno scatti a qualsiasi cosa, anche a quello che stai mangiando. E poi sono contrarissimo a Photoshop, lo abolirei per legge.”
Gianni Berengo Gardin (1930–2025)
In un’intervista a La Stampa nel 2023
La Leggenda Continua
Un Invito a Scoprire di Più su Gianni Berengo Gardin
Il legato di Gianni Berengo Gardin va oltre i suoi scatti: ci invita a vedere il mondo con nuova meraviglia, apprezzando la bellezza e la verità anche nei momenti più ordinari. Le sue fotografie non sono solo immagini, ma vere e proprie storie di una realtà spesso trascurata. In un tempo in cui le immagini scorrono velocemente, il suo lavoro ci ricorda l’importanza della pazienza e della riflessione. Quando ci immergiamo nelle sue opere, partecipiamo a un patrimonio culturale che ci unisce come italiani. Riflettiamo su come possiamo raccontare le nostre storie e preservare la memoria visiva del nostro Paese. Quali insegnamenti portano le sue opere? Come possiamo noi stessi diventare custodi di questo patrimonio? La leggenda di Berengo Gardin continuerà a vivere, ispirando futuri narratori a vedere il mondo attraverso un obiettivo che colga l’essenza della vita.
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